Budda Bar

 

Il “Budda Bar” è il luogo immaginario in cui, nell’epoca X e con i condizionamenti culturali e di costume ad essa legati e da essa derivati, si era usi svolgere incontri spirituali che potevano consentire di ritrovare la luminosità della quotidianità e la capacità di intuire la vera essenza della realtà, pur senza comprenderla a fondo - almeno nella nostra concezione abituale di apprendimento.

L’incontro – forse esso stesso immaginario quanto il luogo - non era tanto con un “chi” ma piuttosto con un modo di essere, una corrente di pensiero, uno stimolo innovativo, una forza liberatoria.

Forse conviene pensare ad un angolo dell’universo denso di energia non sprigionata, ma conservata intatta nel suo stato primordiale, oppure non ad un luogo ma ad un percorso emotivo in cui le sensazioni sono più rarefatte ed i desideri gradualmente si smorzano fino a sfumare i contorni di realtà e pensiero.

 

Il bar rende bene l’idea: si va e si viene ininterrottamente; figure impalpabili e sconosciute, dalle sembianze quanto mai bizzarre e diverse tra loro, si alternano senza sosta e con chissà quali mete, accomunate però dalla necessità di un ristoro, di una ricarica energetica, occupando chi posti abitudinari, chi angoli più remoti ed impenetrabili.

 

Non cercare di misurare l’incommensurabile a parole, e nemmeno di affondare la lama del pensiero nell’impenetrabile: questa è la scritta posta all’ingresso.

 

Appena entrati, una forza invisibile ed aliena alle nostre abitudini ci spinge a concentrarci su quello che possiamo vedere, toccare e comprendere; non bendiamoci gli occhi autoordinandoci di credere in quello che non possiamo vedere, ma aguzziamo il nostro sguardo e poniamoci nella condizione di non poterci aspettare nulla se non da noi stessi.

Attenzione però, perché ogni conoscenza del mondo e di noi stessi è e resterà illusoria. Il vero obiettivo non sarà, quindi, quello di arricchire la conoscenza di fenomeni per loro natura evanescenti, ma piuttosto di accrescere la nostra coscienza del “tutto”, di come la nostra esistenza è tale solo in relazione all’esistenza di tutte le cose ed è funzione dell’attività del nostro spirito e del condizionamento derivante da altre esistenze passate. Un bel gioco, davvero, in cui tutte le cose dipendono da altre cose e nulla esiste separatamente.

 

Sui tavoli tanti fogli vuoti, pronti per essere riempiti. La loro “vuotezza” ha senso proprio per questo e viceversa, ossia l’esistenza di figure che li popoleranno è determinata proprio dal fatto che le loro forme riempiranno il vuoto attuale dei fogli bianchi e privi di figure, ma essi stessi forma vuota pronta ad accogliere una corrente di stati, di fluidi vitali che riempiranno un vuoto. In  questo gioco il vuoto non è nulla ma un’entità non riempita, un’assenza di sostanza, un semplice limite alla commensurabilità del percepibile dalla natura degli esseri che animavano quell’universo.

 

Sui muri, demoni primordiali e figure senza forma preludono all’incombenza della grande legge dell’universo, l’ordine al quale dobbiamo piegarci. Il Dharma universale, che si rispecchia in ciascuno di noi secondo un Dharma individuale. In questo gioco, se i nostri Dharma individuali vengono rispettati – e ciò accade solo se restiamo fedeli a quello che siamo e conosciamo profondamente noi stessi – anche il Dharma universale sarà rispettato, altrimenti le alterazioni che saranno prodotte causeranno eventi indesiderati, spesso imprevedibili, talvolta nefasti.

 

Lo scopo del gioco è di coordinare, seguendo la direzione del tempo, l’alternarsi dei cicli vitali accrescendo la spiritualità all’inevitabile decrescere della vitalità dei corpi materiali in cui essa risiede come emanazione del Dharma universale…fino all’estrema sottigliezza dello spirito vitale, alla sua liberazione dal corpo.

 

 Nel luogo tra reale ed immaginario descritto, localizzato nella costellazione di Y al tempo di Z, sono state ritrovate le tracce di una corrente di pensiero che in un pianeta ormai estinto rappresentò un tentativo di concepire una teoria del tutto e, al contempo, di infondere negli strani esseri che lo popolarono un approccio pragmatico ed ottimista di ciò che essi definivano “la realtà”.

Sebbene fondamentalmente primitivo, il livello evolutivo di questa civiltà remota era riuscito ad individuare le quattro forze fondamentali del cosmo: la forza di gravità, la forza elettromagnetica, la forza nucleare forte e quella debole. Inoltre, aveva intuito la necessità di spiegarle riunendole secondo un’unica forza, perpetuamente intatta e dipendente solo da se stessa, neutra e priva di sentimenti, causa prima di tutte le cose e di conseguenza di se stessa, uno spirito sottile ed inalterabile.

L’allontanamento dalla grande forza – dovuto al graduale annullamento di compassione ed amore - fu, con tutta probabilità, la causa della fine di quelli che si definivano “umani”.

 

I segni, quasi incomprensibili, di uno dei loro alfabeti primordiali sono stati decifrati e rielaborati secondo uno speciale codice glottologico che consente, a chi ne scorre le righe, di apprenderne il significato lessicale secondo gli schemi mentali dei viventi di allora.

Tale codice è lo stesso utilizzato anche nelle frasi che avete appena letto e che state leggendo in questo momento.

Le poche tracce comprensibili e ritenute “non così lontane da quanto a tutt’oggi noto sulla teoria dello spirito” sono state assimilate alle concezioni metafisiche del nostro sistema planetario e rivivono ora, secondo i rozzi schemi riportati in seguito.

 

 

 

 La dottrina

 La dottrina buddhista si fonda sulle Quattro Nobili Verità, che Buddha comprese sotto l’albero della Bodhi (=illuminazione) e sugli strumenti pratici attraverso i quali ogni discepolo può realizzare la liberazione dal dolore-esistenza, cioè l’Ottuplice Sentiero che porta alla meta salvifica.

Per realizzare le quattro Sante Verità (sul dolore, sull’origine del dolore, sulla soppressione del dolore, sulla via che porta alla soppressione del dolore) il discepolo deve passare dalla sua condizione di ignoranza a quella di conoscenza liberatrice attraverso una via lunga e difficile.

La verità sul dolore fa emergere il carattere negativo dell’esistenza nella sua condizione fluttuante dalla nascita alla malattia, alla vecchiaia e alla morte. Distruggere il dolore, l’esistenza, il samsara (il circolo della vita; sam = girare intorno; nascita-morte-rinascita) e pervenire alla consapevolezza delle Quattro Verità.

 

La prima Verità fa prendere coscienza che la nascita è dolore, la malattia è dolore, la vecchiaia è dolore, la morte è dolore, la separazione da ciò che si ama è dolore, l’impossibilità di soddisfare i propri sensi è dolore.

La seconda Verità insegna che il dolore ha origine nella sete del piacere, nella sete dell’esistenza, nell’attaccamento agli esseri e alle cose.

La terza Verità insegna che la sete dell’esistenza può essere soppressa distruggendo totalmente il desiderio, rinunciandovi: si raggiunge così il Nirvana.

La quarta Verità spiega in che modo si può spegnere la sete dell’esistenza.

 

Ogni fenomeno sensibile ha una causa, che a sua volta è l’effetto di una causa interiore: perciò è condizionato e dipendente. Allo stesso modo ogni condizione di vita è assoggettata a tutte le cause che la precedono nella catena e a tutte le cause che la seguono; di essa si può solo affermare l’impermanenza, il carattere di precarietà e di transitorietà. E’ solo la fase del divenire.

La stessa legge di condizionamento si applica ai fenomeni della coscienza e alla personalità: ogni individuo ha delle predisposizioni, vale a dire è condizionato dalla catena delle cause, dal flusso dell’esistenza (la catena nascita - morte = samsara). Egli è formato da anima e coscienza, che non sono mai separabili e sono composti da cinque gruppi di aggregati o fenomeni:

 

1° rupa, la parte corporea o sensibile;

2° vedana, la sensazione di piacere e di dolore;

3° samjna, la percezione, la rappresentazione;

4° sankhara; le predisposizioni, le forze attive ed elementari che si originano dal karma (la legge di causa e d'effetto) e determinano la vita;

5° dijnana, la coscienza.

 

Dunque, dopo il faticoso cammino della presa di coscienza delle tre Verità, la quarta Verità indica al discepolo la via da raggiungere per raggiungere la salvezza, il Nirvana (=estinzione), inteso come totale liberazione dal dolore e dalla catena delle esistenze. Gli strumenti o l’Ottuplice Sentiero sui quali si fondano l’etica e le tecniche acetiche buddhiste sono:

 

1)      la Retta Fede, cioè l’incondizionata adesione alle Quattro Verità;

2)     la Retta Risoluzione, cioè l’impegno a tenere lontano da sé ogni desiderio, odio o malizia;

3)     la Retta Parola, cioè l’astensione dalle parole false;

4)     la Retta Azione, cioè l’astensione dall’uccidere esseri viventi, dal furto e dall’adulterio;

5)     il Retto Comportamento di vita, cioè la pratica di tutte le norme che riguardano l’agire;

6)     il Retto Sforzo, cioè la volontà di incrementare le qualità buone;

7)     il Retto Ricordo, cioè la condizione della mente priva di confusione che aiuta a perseverare nella via di salvazione e a non cedere ai desideri;

8)     la Retta Concentrazione, cioè il raccoglimento della mente che disperde la falsa concentrazione e porta allo stato di abolizione della coscienza e della non-coscienza.

 

La liberazione, quindi, non dipende soltanto dalla conoscenza dell’ignoranza, ma anche dall’osservanza delle norme (sila) di comportamento.

 

 

I dharma

Secondo i buddisti l'io non è un'entità individuale, ma è una combinazione di particelle diverse (dharma o qualità spirituali), di tipo sensitivo, volitivo, percettivo e di impulsi innati: non esiste l'unitarietà dell'io né la sua personale immortalità.

Le parti costitutive dell'io, o meglio, i fenomeni psico-fisici dell'esistenza vengono classificati come Aggregati, Basi ed Elementi. Senza entrare in dettagli, a titolo di esempio si ricorda che gli Aggregati sono cinque: Forma o Materia (il proprio corpo, elementi fisici del mondo), Sensazioni, Nozioni o Ideazioni, Costruzioni psichiche soggettive o propensioni karmiche (complessi innati derivati dall'ignoranza), Coscienza (scorrere dei pensieri).

In pratica, i dharma costituiscono l'infinita varietà dei modi della realtà e quindi gli infiniti accadimenti della nostra esistenza, frutto di azioni compiute in passato e semi di eventi futuri.

Io e Mondo sono il risultato dell'unione di vari dharma, che fluiscono continuamente in un perenne gioco di associazioni e dissociazioni, di aggregazioni e disgregazioni, guidato dalla legge etica del karman, che è una sorta di principio retributivo (preso dal Brahmanesimo), secondo cui i dharma sono costretti a reincarnarsi finché l'io non si è purificato: l'uomo deve rispondere sia della vita trascorsa che della vita passata nelle generazioni precedenti. Questa circolazione o flusso dei dharma è la ruota della vita da cui appunto ci si deve liberare.

 

La legge della causalità

Nel Sermone di Benares, con cui il Buddha inizia la sua predicazione, viene chiaramente negata l'essenza a tutte le cose, motivando ciò col fatto che ogni cosa trae la propria realtà da altre cose che ne sono la causa. Solo il Nirvana sfugge a tale destino, in quanto non è uno "stato", bensì una "condizione" di assenza (non c'è morte e vita, né gioia o dolore…). Lo stesso "io" non è che una successione di stati di coscienza fondati su un insieme di psichismi, sensazioni e parvenze fisiche. L'io, se lo si intende come "realtà", non è che un'illusione.

Il Buddismo, infatti, parte dal presupposto che tutta la vita è dolore, esso cioè da per scontato che i desideri non possono realizzarsi e che, anche quando lo sono, non procurano la felicità, poiché ne sorgono altri di grado superiore o di diversa natura. In tal senso anche il piacere è dolore, in quanto implica adesione a qualcosa di estraneo.

L'origine del dolore è la "sete" o desiderio, che può essere di tre tipi: piacere, voler esistere, non voler esistere, e vi sono tre radici del male: concupiscenza (brama), ira (odio) e ottenebramento (cecità mentale).

L'io che non riesce a sottrarsi a questa schiavitù, è destinato a reincarnarsi (samsara) in eterno, almeno fino a quando non si sarà purificato interamente.

 

Il Nirvana

La retta via - disse Buddha - sta nel mezzo (Via Mediana). Il segreto della felicità sta nell'accettarsi così come si è, rinunciando ai desideri, la cui consapevolezza rende infelici non meno della loro realizzazione. Infatti ogni desiderio soddisfatto porta a maturarne un altro ancora più grande. Rinunciare ai desideri significa rinunciare a una inutile sofferenza. La condizione suprema della felicità è quella del Nirvana, in cui l'uomo è felice pur non desiderandolo, è felice perché ha vinto l'Illusione cosmica (maya).

Seguendo le suddette otto strade l'uomo giunge alla perfezione e sprofonda nel Nirvana, il quale - secondo la scuola Mahayana - rappresenta il completo annientamento o non-essere, raggiungibile anche in vita e quindi definibile in senso positivo, come stato di pace totale e di gioia assoluta e di verità ultima, che però solo gli illuminati scorgono.

Viceversa, seconda la scuola Hinayana, il Nirvana sfugge a qualsiasi definizione, poiché rappresenta la fine della vita accessibile alla coscienza e il passaggio a un'altra esistenza, inconsapevole, possibile solo dopo la morte.

In entrambi i casi Nirvana significa interruzione della catena delle reincarnazioni (samsara).

Nirvana dunque, anche se letteralmente significa "estinzione", spiritualmente significa "beatitudine".

 

La Meditazione

Il mezzo fondamentale per percorrere l'Ottuplice sentiero è la Meditazione, che si sviluppa su due linee diverse e complementari:

 

Acquietamento o Purificazione

Si propone una condizione di totale trasparenza immobile della coscienza (atarassia). Consiste nel focalizzare l'attenzione su un solo punto, che in realtà è un'immagine simbolica, da utilizzare come supporto per il processo, operando una graduale esclusione degli stimoli sensoriali periferici. L'atto meditativo consente di raggiungere i primi quattro livelli di perfezione: quieta felicità, fine del pensiero logico-discorsivo, fine dei fattori emotivi, fine del senso di felicità/infelicità. Il pensiero diventa così consapevolezza universale.

 

Visione penetrativa o Intuizione

Consiste in una vigile attenzione rivolta ai fatti fisici, anche minimi, e ai processi mentali. Conduce a una serie di approfondite purificazioni del pensiero, il quale deve giungere alla consapevolezza che l'essenza degli elementi della realtà è data dallo stesso pensiero che se li rappresenta, ma che, di per sé, è inesistente. La realtà va sperimentata come "vuoto", in particolare come vuoto, al quale corrisponde la condizione soggettiva di "estinzione" (Nirvana), in cui soggetto e oggetto devono identificarsi, altrimenti, di fronte al "nulla" che spiega le cause, l'io potrebbe disperare.

 

Religione e comportamento sociale

Il Buddismo vuole porsi come filosofia di vita e soprattutto come pratica meditativa. Nel momento dell'Illuminazione il Buddha avrebbe intuito un preciso imperativo etico: "liberarsi dalle opinioni". L'atteggiamento quindi vuole essere di tipo anti-dogmatico. "La dottrina è simile a una zattera - disse il Buddha -, serve per attraversare e non trasportarsela sulle spalle".

Sul piano del comportamento sociale, il Buddismo rifiuta il sistema brahminico delle caste e riconosce l'uguaglianza formale di tutti gli uomini Ogni uomo ha uguali possibilità di salvezza morale, poiché tutto dipende dalla sua volontà.

Il buddista ama non tanto il singolo, quanto il genere umano. Non si difende dal male ricevuto, non si vendica, non condanna chi commette un omicidio. Nel complesso il buddista ha un atteggiamento di indifferenza per il male, rifiutando soltanto di non compierlo.

È bene però precisare che per raggiungere la Liberazione, più che una vita moralmente ineccepibile, la quale al massimo può dar luogo a un buon karman, il buddista deve dedicarsi alla Meditazione, che comporta un'energica disciplina ascetica (yoga), la cui esperienza in un certo senso va al di là di ogni morale. L'io deve liberarsi dell'Illusione circa la realtà del mondo e soprattutto circa la sua personalità, per sprofondare nel "non-io", nel "non-essere".

 Quanto alle virtù morali che deve seguire il buddista, esse in sostanza si riducono a quattro:

>       compassione (percepire dentro di sé la gioia e il dolore dell'altro);

>       amorevolezza verso tutti gli esseri viventi;

>       letizia e considerazione del lato positivo delle cose;

>       imparzialità nel considerare la realtà.

 

Roberto Gismondi

 

Per saperne di più:

H. ARVON, Il buddismo, Laterza, Bari, 1980.

DALAI LAMA, La compassione e la purezza, Fabbri editore, 1997.

N. SENZAKI, P.REPS (a cura di), 101 storie zen, Adelphi, Milano, 1973.

 


 

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